Santo Patrono
San Nicola
San Nicola non è un santo italiano; egli nacque, visse, operò e morì in Anatolia, si dice tra III e IV secolo, ma il suo culto si è diffuso quasi ovunque, dopo aver assunto anche nomi diversi - Santa Clauss, Nonno Gelo, Babbo Natale -, portandosi dietro fatti e leggende che sono stati rielaborati a seconda della sensibilità delle culture che lo hanno accolto.
Egli è il difensore dei deboli, il soccorritore di quelli che subiscono ingiustizie, il protettore dei fanciulli, delle fanciulle ma anche dei marinai. Arriva anche in aiuto nei momenti di carestia.
Nasce verso il 270 d.C. a Patara, città della Lycia (oggi Turchia), diviene vescovo di Mira, opera durante gli anni dell'imperatore Costantino il Grande, muore nel 342 a Mira, secondo tradizione.
Se provate a chiedere ad un cittadino in quale epoca Pollutri ha iniziato a venerare San Nicola vi parlerà di Settecento o giù di lì in relazione alle statue esistenti, ma vi parlerà soprattutto di Bari e di come il culto viaggiando sui tratturi sia giunto a noi. Per questo motivo diciamo San Nicola di Bari.
Se non che, relativamente per Pollutri, la ricerca storica smentisce questa tradizione orale, per cui dovremmo definire il Santo come San Nicola di Mira.
Ecco gli elementi.
Nell'anno 1059 il papa Niccolò II conferma al vescovo di Chieti, i confini della diocesi ed i possedimenti spettantigli, tra questi compare anche la pieve di San Nicola di Monteodorisio (plebem sancti Nicolai de monte Oderisii ) . Teniamo presente che la pieve è una chiesa campestre, costruita lontano dai centri abitati, nella quale si poteva amministrare il sacramento del Battesimo.
Il successore di Niccolò, papa Alessandro II, che regna dal 1061 al 1073, emana una bolla pontificia di protezione in favore del monastero di S. Salvatore a Maiella in cui sono elencati i beni di spettanza, tra questi compaiono le chiese di San Barbato di sopra Pollutri e di San Nicola di Ilice (Sancti Barbati de super Polotri et Sancti Nicolai de la Ilice). Purtroppo il documento ci è giunto senza la parte finale dove era presente la data e quindi possiamo dire che esso fu scritto durante il periodo in cui regnò Alessandro. Precisiamo che l'antica Ilice (contrada Civita) aveva un vasto territorio sulla pianura del Sinello.
Nell'anno 1087 – siamo almeno quattordici anni dopo la citazione della nostra chiesa di S. Nicola – i Baresi, scoperto che Veneziani e Genovesi stavano organizzandosi per andare a rubare le reliquie del Santo, quindi preparano una spedizione. Un gruppo di 62 persone di ceto diverso, dopo aver armato tre vascelli, parte nell'aprile di quell'anno e fingendo di commerciare naviga fino ad un porto vicino a Myra. Dopo aver compiuto il "sacro furto" in quest'ultima cittadina, il gruppo riparte a vele spiegate e rientra a Bari il 9 maggio 1087. Solo due anni dopo, nel 1089, i Baresi costruiranno la chiesa al Santo.
In conclusione, possiamo sicuramente affermare che a Pollutri il culto di San Nicola non è arrivato da Bari.
Se ci si chiede, allora da dove è giunto, bisogna fare riferimento a quei monaci Basiliani di cui si è detto in San Nicola e la supremazia sconosciuta di Pollutri (Pro Loco Pollutri, 2020).
Non abbiamo una data precisa per indicare quando il Santo fu preso come Patrono, probabilmente avvenne dopo il 1566 quando la sua chiesa fu distrutta dai Turchi ed i Pollutresi decisero di trasferire il suo culto in paese, dedicandogli un altare dentro la chiesa di San Salvatore e costituendo la relativa Confraternita.
Pollutri festeggia il Santo due volte all'anno.
La prima domenica di maggio – cadente sempre tra 1 e 7 - per ricordarne l'arrivo a Bari e forse inconsciamente anche per celebrare la propria priorità su Bari nell'aver onorato il Santo giacché, tra il 1061 ed il 1073, Pollutri aveva già una chiesa di San Nicola! In questa occasione San Nicola esce su una lunga barca piena di fanciulli, la quale è trainata dalle persone. Inoltre si allestisce "la tavolata" per gli ospiti, che viene già documentata prima del 1591. Nella Casa del Santo si può ricevere come "devozione" un tarallo.
A dicembre il giorno 6 si ricorda il "dies natalis"del Santo ovvero il giorno della sua morte; anche in questa occasione c'è la processione, ma con la statua a mezzo busto. Durante la mattinata la Commissione della festa - una volta i Confratelli – distribuiscono casa per casa ai cittadini e dentro la Casa del Santo per i forestieri "la devozione" ovvero le fave cotte la sera precedente, il 5 dicembre, durante un particolarissimo rito pubblico al quale bisognerebbe assistere almeno una volta nella vita!
Vittorio Aruffo
Cottura delle fave
Il rito della cottura delle fave, fa parte della ricorrenza invernale, che si tiene il 5 dicembre, anche se i preparativi della Casa di San Nicola iniziano a novembre con la preparazione degli alimenti, la novena e l'elezione del priore e della priora, che saranno a capo dei lavori, in questi giorni sarà sempre acceso un fuoco alla Casa di San Nicola. Le fave da cuocere vengono vagliate a mano, successivamente vi è la benedizione di acqua, farina, sale, olio e legna, inizia poi la preparazione delle palate, che sono coppie di pani sacri tondi uniti da una decorazione a laccio, che vengono portati al forno su apposite spianate coperte di mantiglie, mentre si recita il Padre Nostro. La sera prima del rito vengono messe in ammollo circa sette quintali di fave, che saranno successivamente cotte la sera della vigilia della festa del Santo Patrono. Si predispongono intanto le dodici caldaie -callare- e la legna per la cottura delle fave. È notte quando il 5 dicembre, sul sagrato della Chiesa, dopo la S.Messa e la benedizione, si accendono i fuochi delle -callare- piene di fave, alla presenza di una folla di devoti non soltanto pollutresi. Il paesaggio di fiamme vapori e fumo, assume toni particolarmente suggestivi. Ai ragazzi si affida il fuoco, che gareggiano per far giungere a bollitura, quando la priora e le donne del comitato incedono dalla Casa di San Nicola con il sale che gettano nell'acqua delle caldaie facendo il Segno della Croce, la piazza attende e si anima per la distribuzione di fave e pani, che prosegue per parte della notte.
Per quanto riguarda l'aspetto religioso, l'uso delle fave è legato a doppio filo al culto di San Nicola, in quanto oltre a ricordare l'ospitalità offerta ai pellegrini in viaggio verso la Puglia, esse sono protagoniste di un celebre miracolo attribuito al Santo. Per salvare la città di Bari dalla fame, Nicola avrebbe stretto nel suo pugno una manciata di fave, moltiplicandole a dismisura una volta aperte le dita, provvedendo così a saziare l'intera popolazione. Oltre al sacro, sembra trattarsi di un rito ancestrale di origini pagane, legato al ciclo della morte e della vita. A Roma durante la festa dei Parentalia, il consumo di questo legume, forniva un ponte invisibile tra passato e presente, mettendo in collegamento i vivi con i propri defunti. Le fave simboleggiano i bambini maschi che nasceranno: nel folklore italiano sono un simbolo fallico, distribuirle è benaugurante, una sorta di incantesimo che assicura lunga discendenza.